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Stem? Roba da ragazz…e

Stem? Roba da ragazz…e

Cose da maschi e cose da femmine

Macchine e bambole

Fin da bambini ci sentiamo dire che ci sono cose da maschi e cose da femmine. Le macchinine sono per i maschietti, le bambole per le femminucce. Il calcio è per i bambini, la pallavolo o la danza per le bambine. Fino ad arrivare al mondo della scuola e dello studio: le lettere sono per le ragazze, matematica, scienza e affini sono per i ragazzi.

Inutile dire che nulla di tutto ciò è vero, da piccola il mio gioco preferito erano le micro machines, per dire. Queste informazioni rientrano infatti nella categoria, di cui avrete sicuramente sentito parlare, degli stereotipi di genere.

“Molto bene” direte voi, “ora che lo sappiamo ci comporteremo diversamente, non ci facciamo più fregare!”.

E invece no. Purtroppo, la cosa non è così semplice.

Innanzitutto, perché viviamo tutti costantemente immersi nella nostra cultura di riferimento e saremo quindi esposti ad atteggiamenti, immagini, parole volti a confermare, talvolta anche subdolamente, quegli stereotipi.

E poi perché c’è un problema con queste informazioni: influenzano il nostro agire, plasmando così il nostro modo di vedere noi stessi e il mondo.

Andiamo a vedere come.

Stereotype Threat o minaccia associata allo stereotipo

Esiste un fenomeno, ampiamente studiato in psicologia sociale, che si chiama minaccia associata allo stereotipo (Stereotype Threat, Steele e Aronson 1995). In parole povere, se una persona è conscia del fatto che in una determinata situazione un sottogruppo a cui appartiene (ad es. genere, etnia, età…) è ritenuto svantaggiato, finirà per avere effettivamente una performance inferiore e quindi per confermare di fatto lo stereotipo. Ma perché questo avviene? Perché la consapevolezza dello stereotipo attiva nel nostro cervello tutta una serie di reazioni, non ultima una reazione da forte stress, che andranno a pregiudicare le nostre performance.

La cosa più preoccupante, però, è che, al di là degli effetti immediati che influenzano un compito specifico, questo tipo di esperienza ha anche ricadute a lungo termine. In particolare, essere esposti a lungo alla sensazione di minaccia che lo stereotipo suscita può portare il soggetto a disidentificarsi con il gruppo “discriminato”. Lo spiego meglio con un esempio. Una donna, che abbia magari un’inclinazione verso la matematica, sentendosi ripetere che le ragazze sono più brave in italiano potrebbe smettere di avvertire la propria propensione alle materie scientifiche, perché in questo modo andrà a tutelare la propria autostima. Provando a esplicitare il pensiero che ci sta dietro, potremmo ipotizzare che sia questo a passarle (inconsciamente) per la mente: ‘mi piace la matematica, ma il mio essere donna mi porterà a fallire nel compito. Che senso ha quindi provare? Non potrò mai riuscire perché sono donna. Rinuncio a prescindere. Non può interessarmi la matematica, quindi la evito’.

Capito adesso il “trucchetto”?

Discipline Stem e profezia che si autoavvera

Non è da escludere che questo sia uno dei principali motivi per cui le ragazze sono poco rappresentate nell’ambito dello studio delle, e poi del lavoro nelle, discipline Stem, ovvero Science, Technology, Engineering e Mathematics.

Queste sono però discipline importantissime nel mondo del lavoro che si sta delineando, ed è quindi fondamentale spezzare il circolo vizioso causato dagli stereotipi, che danno purtroppo vita a una vera e propria profezia che si autoavvera.

Piccoli passi per un obiettivo più grande

Posto che l’obiettivo finale dovrebbe essere quello di eliminare le credenze culturali relative all’appartenenza di genere, questo non si raggiunge di certo dall’oggi al domani. Si comincia però, come per tutti i grandi cambiamenti, da piccoli passi compiuti dal singolo.

Quindi intanto cosa si può fare nel concreto?

Innanzitutto, informarsi, alimentare la propria autoconsapevolezza e la consapevolezza dei giovani. Educare i ragazzi a vedere le somiglianze fra i gruppi anziché le differenze, e al contrario, a notare le differenze all’interno di uno stesso gruppo, così da imparare a non fare di tutta l’erba un fascio.

Sarà poi importante portare sotto gli occhi modelli che contraddicano lo stereotipo, e che sono in realtà tanti. Ben venga quindi lo studio della vita delle scienziate donne, che già oggi occupano posti di grande rilievo. Si pensi soltanto a Fabiola Gianotti a capo del Cern, o a Samantha Cristoforetti, astronauta al momento impegnata in una missione spaziale. E questi sono soltanto i due esempi più ovvi che mi sono venuti in mente.

Anche i dati statistici possono essere d’aiuto, perché parlano un linguaggio comprensibile a tutti e di chiara leggibilità. Prendendo come campione di riferimento quello dei corsi di Laurea Magistrale del gruppo di Ingegneria, si vede come il voto di laurea delle ragazze sia in media persino più elevato, anche se di poco, rispetto a quello dei ragazzi (107,3 contro 106,4), e che il 50% delle studentesse completa gli studi in corso, contro meno del 48% degli studenti.

Si sente insomma forte la necessità di sdoganare l’idea che le donne che studiano o lavorano in questi settori non sono, o perlomeno di sicuro non dovrebbero essere, una felice eccezione. Sono lì perché ne sono capaci, esattamente come i loro colleghi maschi, e come loro può esserne capace qualunque altra donna che ne senta l’inclinazione.

Il mondo è troppo vecchio per perdere quest’occasione di rinnovarsi.